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TERZO EPISODIO
Entrano gli Areopagiti, un banditore, servi e cittadini
in gran numero. Riappaiono, uscendo dai rispettivi templi,
Apollo e Atena.
Al centro sono state disposte le urne per il voto.
Apollo e Oreste stanno sulla sinistra, la Corifea a destra
e le Erinni si dispongono in basso.
Dietro sta la folla dei cittadini.
Atèna rivolgendosi all'Araldo:
Lancia l'appello, e frena, o araldo, il popolo.
E la squillante tromba tirrena si riempa del tuo fiato,
sino al cielo, e la sua
acutissima voce oda il popolo.
Si leva l'acutissimo squillo della tromba.
Accorre tutto il popolo e riempie la scena
Atèna:
Poi che già piena è l'assemblea, in silenzio,
tutta la città ascolti queste mie leggi,
che io stabilisco eterne.
Con giustizia il giudizio ha da esser pronunciato.
Si presenta Apollo
CORIFEA:
E tu, Apollo re, esercita i tuoi dominî.
Quale parte ti spetta in questa causa?
APOLLO:
Qui io venni per fare testmonianza, e ne ho diritto:
Al tempio mio, già venne
quest'uomo supplice,
ed io, del sangue del matricidio, già lo purificai.
E aggiungo: è mia la colpa
del matricidio. Apri ora tu la causa,
e giusta, come sai, dà la sentenza.
Atèna:
A voi la parola. Il giudizio è aperto.
Parli per primo l'accusatore,
esponendoci esattamente i fatti.
CORIFEA:
Noi siamo in molte, ma le nostre parole saranno brevi.
E tu, Oreste, punto per punto rispondi.
Ora dicci se uccidesti tua madre.
ORESTE:
L'uccisi: non negherò lo scempio.
CORIFEA:
Una delle tre prove è vinta già.
ORESTE:
Non gloriarti: ancora non sono caduto.
CORIFEA:
Ora dì come l'uccidesti.
ORESTE:
Traendo una spada, le tagliai la gola.
CORIFEA:
Istigato da chi? Chi t'indusse a ciò?
ORESTE:
Dagli oracoli di Apollo. Egli lo conferma.
CORIFEA:
Fu Apollo ad indurti a uccidere tua madre?
ORESTE:
Non é della sorte mia che fin qui mi lagno.
CORIFEA:
Non credo dirai altrettanto, se ti condannano.
ORESTE:
Non temo: il padre mio mi aiuta dalla tomba.
CORIFEA:
Tu, matricida, hai fede nei defunti?
ORESTE:
La vergogna di due colpe ella avea sopra di sé
CORIFEA:
Due colpe? Chiarisci meglio questo ai giudici.
ORESTE:
Uccise mio padre e uccise insiem il suo sposo.
CORIFEA:
Ma tu sei vivo, e lei si fece libera dalle colpe morendo.
ORESTE:
Perché, mentre viveva, non la perseguitasti?
CORIFEA:
Ella non era dello stesso sangue dell'uomo che uccise.
ORESTE:
E sono io consanguineo di mia madre?
CORIFEA:
O sciagurato, il sangue che è piú tuo, rinneghi:
quello di tua madre, che nel suo grembo ti ha cresciuto.
ORESTE:
Fammi tu Apollo testimonianza, e dimostra
se con diritto la uccisi. L'ho uccisa,
non lo nego. Ma se fu giusto,
versare il suo sangue, o ingiusto, il tuo giudizio
ora tu dimmi.
APOLLO:
Parlerò io a voi, tribunale costituito da Atèna.
Io, che sono profeta,
non mentirò. Dal mio trono profetico,
mai su città, uomo, donna,
dissi cosa, che Giove Olimpio
non mi imponesse. Ed ora, persuadetevi
di quanto fu legittimo il suo atto,
ed al voler del padre mio inchinatevi,
ché piú del giuramento di Giove, nessun giuro vale.
CORIFEA:
Dunque fu Giove, che ad Oreste dettò
questo oracolo, tu dici? Senza nessun conto
al rispetto della madre, e di vendicare la morte del padre?
APOLLO:
Non è la medesima cosa la morte di un uomo
nobile onorato da Giove che lo scettro regale gli diede!
E peggio è se morì per mano d'una donna, e non di freccia
saettata da lontano, di una Amazzone.
Come egli tornò dal campo, compiuta
felicemente la sua grande impresa, quella,
con lieto volto lo accoltse, e mentr'egli
scendeva nel bagno, gli stese attorno
un manto; e stretto lo impiglio in una rete inestricabile,
e lo colpí.
Del glorioso eroe fu questa la sorte,
del duce che guidò le navi a Ilio; ed anche
vi dissi della sua donna.
Il cuore di collera non si sentono stringere i giudici
e il popolo che qui deve fare giustizia?
CORIFEA:
Tu dici che maggior cura, Giove, ha riguardo ai padri?
Ed egli non incatenò in lacci il vecchio Crono, suo padre?
Come esponi il fatto a questi giudici?
Uditelo, e siatemi giudici di ciò che egli dice.
APOLLO:
O mostri da tutti esecrati, odio dei Numi!
Si possono sciogliere le catene, esiston rimedi
di questo male.
Ma poi, che morto è un uomo, e la polvere
ne ha bevuto il sangue, mai piú non risorge.
Trovare incantesimi a ciò, non lo potrebbe
il padre mio, che tutto ordina e tutto volge
in cielo e in terra, senza fatica né affanno.
CORIFEA:
Vuoi che costui venga assolto? Pensa!
Versato il sangue ha della madre: come
del padre, in Argo, abiterà la casa?
A quali altari pubblici potrà
far sacrifizî? Qual tribú vorrà
condivider con lui l'acqua lustrale?
APOLLO:
Anche questo diròe tu intendi se parlerò rettamente!
Non è la madre la genitrice di colui
che si dice da lei generato, bensí nutrice
del feto appena in lei seminato:
genitore è quegli che il germe espresse.
E la madre è colei che l'ospite accoglie,
E dei miei detti dar prova ti posso.
Aver puoi padre senza madre: è presso
a noi la figlia dell'Olimpio Giove,
a farne prova, che non fu cresciuta
entro l'oscuro di un grembo materno;
ma quale Dea, generar saprebbe un tal rampollo?
Per il resto, Pallade, io, per quanto posso, grande
la tua città e la tua gente farò;
già mandai Oreste alla tua casa supplice,
affinché, per sempre, fedele egli ti fosse,
ed alleato, o Diva, egli e i suoi posteri;
E sacri, in eterno, questi patti restino.
Atèna:
Abbastanza fu detto. Or voi, sí come
coscïenza vi spinge, il voto date.
CORIFEA:
Tutte scagliate abbiam le nostre freccie:
il giudizio ora attendiamo.
APOLLO:
Avete udito: nel dar voto, o giudici,
il giuramento in cuor sacro vi sia.
Atèna:
Or la mia legge udite, Attiche genti,
voi, prime elette a giudicare questa
causa di sangue. Al popolo d'Egeo
anche in futuro, questo tribunale
darà sentenza, qui dove le Amazzoni
posero campo e tende, allorché l'odio
contro Teseo le spinse a guerra, ed esse,
di fronte all'Acropoli, questa città munirono
di alte torri, ed immolarono
vittime ad Ares: onde la rupe ancora
d'Arëopàgo ha nome. Esso il rispetto
ed il timore ai cittadini in cuore
indurrà, che non mai, né dí, né notte,
vïolino giustizia, e che le leggi,
d'Atene i cittadini mai non mutino:
perché se di fango e umor fradici,
l'onda limpida inquini, ber piú non la puoi.
Né anarchia né dispotismo: questa è la regola
che ai cittadini amanti della Patria consiglio
di osservare: né di scacciar del tutto
dalla città il timore perché senza timore
nessuno dei mortali opera secondo giustizia.
Voi temetelo dunque e rispettatelo:
esso proteggerà l'Attica e sarà
la salvezza d'Atene.
Questo Consiglio, io voglio severo,
incorruttibile e vigile.
Questo ammonisco ai cittadini miei
che sia per l'avvenire. Adesso alzatevi,
prendete i voti, ed ossequenti al giuro,
equa sentenza pronunciate. Ho detto.
CORIFEA:
Badate la nostra presenza può essere funesta a questo Paese.
Non ci disprezzate. Ascoltate il nostro consiglio.
APOLLO:
E io vi dico che gli oracoli miei
son anche gli oracolo di Giove.
Osservarli dovete.
Eumènidi:
Di fatti di sangue a te non spetta occuparti;
né l'oracolo tuo sarà piú sacro.
APOLLO:
Sbagliò quindi nei suoi consigli il padre mio,
quando del primo delitto di sangue purificò
il supplice Issíone?
CORIFEA:
Sbagliò!
APOLLO:
Giusto non è far bene a chi ti venera?
Tanto più se di noi ha bisogno.
CORIFEA:
Tu sovverti le antiche leggi, come quando,
col vino, le antiche Dee ingannasti.
APOLLO:
Presto, sconfitte nella causa, non avrete più
da vomitare sui nemici il vostro veleno.
CORIFEA:
Tu cianci! Ove se la causa sarà persa,
infesta a questo suol sarà la torma nostra.
APOLLO:
Fra i Numi antichi, fra i novelli Numi,
tu vai priva d'onore: io vincerò.
CORIFEA:
Giovine Iddio, tu noi vecchie offendi,
Aspettiamo di udire la sentenza e poi sarà
deciso se infierire contro Atene o no.
Durante tutta questa discussione s'è compiuta la votazione.
Atèna si approssima ultima a dare il voto
Atèna:
È la mia volta: a me l'ultimo voto.
In favore d'Oreste io lo darò.
Madre non ho che generata m'abbia;
Il mio cuore, escluso i legami di nozze,
è tutto per l'uomo.
Figlia son di mio padre: e a cuor la sorte
mai d'una donna non avrò, che uccise
lo sposo suo, custode della casa.
Anche se i voti siano pari, Oreste
vince la causa. O voi, giudici, cui
l'ufficio spetta, rovesciate l'urne.
ORESTE:
O Febo Apollo, quale sarà l'esito?
CORIFEA:
Notte, mia negra madre, vedi tu quello che accade?
ORESTE:
Questo è il punto: esser perso o veder ancora la luce!
CORIFEA:
E per noi, o scomparire per sempre
o possedere ancora i nostri onori.
Atèna:
Attentamente computate i voti,
ospiti: e lunge ogni ingiustizia vada.
Un voto meno, e un gran cordoglio segue:
un voto piú, risorge una progenie.
Intanto, si è fatto lo spoglio dei voti. Atèna lo verifica
Atèna:
Assoluto quest'uomo è nella causa:
ché ugual risulta il numero dei voti.
ORESTE:
O Pallade, tu la mia casa rendi a me,
che privo ero di patria.
Ed or diranno gli Èlleni:
«Un uomo d'Argo, le paterne mura
abita ancora, pel favor di Pallade
e di Febo e di quei che tutto domina,
di Giove». Ei tutelò del padre mio
la sorte, e volle me salvo, e negò
a queste vendetta.
Ed ora, io parto, e alla mia casa torno,
a questa terra e al popol tuo giurando
che mai, pei mille e mille anni venturi
uomo alcun che la mia terra governi
qui condurrà guerresco ordin di lance.
Ché io, dal fondo della tomba mia,
chi questo giuro mio trasgredirà,
colpirò con sciagura immedicabile,
E dove il mio giuro rispettino, ed a questa
città d'Atene aiuto in guerra prestino,
sarò benigno ai cittadini miei.
Salute a te Atèna e al popolo d'Atene.