Prologo

Parodo

Primo episodio

Epiparodo

Primo stasimo

Secondo episodio

Secondo stasimo

Terzo episodio

Esodo

Canto finale

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ESODO
CORO: Strofe prima Ahi, nuovi dei, sotto i piedi le antiche leggi calpestate! Dalle mani la nostra preda ci strappate! Ma, spoglie d'onore, sciagurate, nell'aspro dolore, dal furore dell'anima sopra questo terreno stilleremo lo sterminio. Spargendo veleno. distruggeremo greggi e pascoli, Rovina e morte a questa città! O della Notte misere figlie, nessuno, onor prestato ci ha. Atèna: Credete a me: non v'affliggete troppo. Vinte non foste: il numero dei voti fu pari: e spregio a voi non vien. Ma v'erano segni ben chiari del voler di Giove; egli stesso il responso diede, giunse a prestar la fede sua, che Oreste compier dovea lo scempio, e andare immune. Non vi crucciate dunque, e il fiero sdegno non infliggete a questo suolo, e sterile non lo rendete, non struggete i germi col morso edace dell'infeste bave. Ed io con certa fede a voi prometto che in questa terra di giustizia avrete riposte sedi, e onor dai cittadini, presso l'are sedendo, in troni fulgidi. CORO: Antistrofe prima Ahi, nuovi Iddei, sotto i pie' calpestate le antiche leggi! Di man le mie prede voi mi strappate! Ma, spoglia d'onore, io, sciagurata, nell'aspra mia doglia, stillerò lo sterminio sopra questo terreno, dal furore dell'anima sprizzando atro veleno. Da questo una serpigine che greggi strugga ed erba, su le zolle spargendosi, di letifere macchie la terra coprirà. Che faccio? Verso lagrime? Sarò con questi cittadini acerba? O della Notte misere figlie, nessuno, onor prestato v'ha. Atèna: Prive d'onor non siete, e non vi piaccia, per troppo d'ira, questo suolo rendere sterile, o Dive. Anch'io - dirlo che giova? - posso in Giove fidare: io sola so del ricetto le chiavi ove la folgore è sigillata. Ma per che, la folgore? Ben t'indurrai per le parole mie a non scagliare con impronta lingua su questa terra il maleficio, e tutti farne abortire i frutti. In cuor sopisci l'impeto amaro della negra furia, e delle cose e degli onor partecipe con me sarai: di questa terra grande offerte le primizie a te saranno per gli sponsali, e quando nascon pargoli: onde il consiglio mio loderai sempre. CORO: Strofe seconda Questo da me si tollera, da me vetusta Diva! E, ahimè, di questa terra, impunita la sozzura resta! Spirerò la mia furia, la mia collera. Ahimè, ahimè, sciagura, quale tortura penetra il fianco mio! O Madre notte, il mio furore ascolta. Gli onori a me dovuti, antica Diva, invincibile frode or me ne priva. Atèna: Le furie tue sopporterò: ché annosa piú sei di me: piú accorta anche tu sei: ma senno acuto Giove anche a me diede. Se ad altre terre, ad altre genti andrete, brama vi pungerà, ve lo predíco, di questo suol: ché ai cittadini miei maggior gloria addurranno i dí venturi. E tu, vivendo in onorata sede, d'Erettèo presso la dimora, offerte avrai da turbe d'uomini e di femmine, quali niun altra gente a te farebbe. E su la terra mia tu non gittare i sanguinei pungigli, onde si struggono i cuori giovanili in una furia d'ebbrezza senza vino; e non accendere come galli pugnaci i cittadini, non annidarvi la guerra civile, la promiscua strage. E non s'appressi, resti la guerra oltre le porte, ed ivi terribile di gloria amore avvampi. Queste le offerte ch'io ti faccio. Beni largire e averne, onori aver, partecipe di questo sacro suol diletto ai Numi. CORO: Antistrofe seconda Questo da me si tollera, da me, vetusta Diva! E, ahimè, di questa terra, impunita la sozzura resta! Spirerò la mia furia, la mia collera. Ahimè, ahimè, sciagura, quale tortura pènetra il fianco mio! O madre Notte, il mio furore ascolta. Gli onori a me dovuti, antica Diva, invincibile frode or me ne priva. Atèna: Mai stanca mi farà parlarti il bene: dir non potrai che tu, vetusta Diva, spregiata da me giovine, e dal mio popolo, vai da questo suolo in bando. Ma, se pur tu la Dea Suada veneri, che dal mio labbro col suo miel ti molce, resta fra noi. Ché se restar non vuoi, giusto non è che l'ira tua su Atene piombi, né il danno od il furor sul popolo: ch'esser tu puoi di questo suol partecipe direttamente, e onore aver perenne. CORIFEA: Qual sede, o Atèna, dici tu che avrei? Atèna: D'ogni cordoglio immune: or dunque accettala. CORIFEA: L'accetterò. Ma quali onor' mi serbi? Atèna: Che senza te nessuna casa prosperi. CORIFEA: Questo farai? Che tal potere io m'abbia? Atèna: La fortuna daremo a chi te veneri. CORIFEA: Per sempre? E te ne fai mallevadrice? Atèna: Cosa non posso dir ch'io non la compia. CORIFEA: Molcir mi sento, e il furor mio depongo! Atèna: Qui rimanendo, amici acquisterai! CORIFEA: Quali inni vuoi per questo suol ch'io levi? Atèna: Tali che araldi sian di fausta sorte! Dalla terra essa giunga, e dalla rorida acqua del mar, dal cielo: e spirino aliti di venti su la terra, e il sole sfolgori. E che le zolle il frutto e de le greggi rigogli e abbondi; e non la fiacchi il tempo; e la progenie dei mortali, prosperi. E si disperda dei malvagi il germe: ch'io, come saggio agricoltore, illese le progenie dei giusti sol desidero. Queste saranno le tue cure. Ed io questa città vittrice, ognor fra gli uomini chiara farò nelle guerresche prove.
EUMENIDI
Libera riduzione radiofonica della tragedia di Eschilo