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Parodo |
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Secondo episodio |
Secondo stasimo |
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SECONDO EPISODIO
Esce a destra, dal suo tempio, Atèna.
Atèna:
Da lungi, dal lontano Scamandro,
udii il richiamo di una voce;
prendevo possesso di una terra,
bottino di guerra di capi e
guerrieri Achei.
Ora quel pezzo di terra é mio
e dei discendenti di Teseo.
Di là io venni, e venni rapidamente,
senz'ali.
Or qui, veggendo cosí strana turba,
non temo io già, ma stupefatta resto.
Chi siete mai? Lo chiedo a tutti. A questo
che, stranïero, al simulacro mio si stringe,
e a voi, difformi ad ogni essere nato,
senza somiglinze o parvenze umane.
Ma rinfacciare apertamente altrui
la sua deformità, non mi par giusto!
CORIFEA:
Figlia di Giove, in breve il tutto udrai.
Noi della Notte siam le fiere figlie,
Maledizioni chiamate nelle inferne case.
Atèna:
Noti mi son la stirpe vostra e il nome.
CORIFEA:
E il nostro compito presto apprenderai.
Atèna:
L'apprenderò se me lo dice alcuno.
CORIFEA:
Dalle case scacciam gli omicidi.
Atèna:
E dove il bando finisce?
CORIFEA:
Dove per sempre ogni letizia è morta.
Atèna:
Tale è la caccia su costui?
CORIFEA:
La madre sua uccise.
Atèna:
Glielo impose, qualcuno di cui temeva la collera?
CORIFEA:
Imposizione non vi é, che al matricidio costringa!
Atèna:
Son due le parti, e solo una parlò.
CORIFEA:
Ei non può dare giuramento, né riceverlo!
Atèna:
Voi preferite aver nome di persona giusta
anziché praticar la giustizia!
CORIFEA:
Dimmi il perché, saggezza a te non manca.
Atèna:
Giuramenti non valgono a far vincere causa non giusta.
CORIFEA:
Chiedi le prove, e tu la lite giudica.
Atèna:
Dunque il giudizio rimettete a me?
CORIFEA:
Come no? Ti prestiamo l'onor debito.
Atèna:
E tu, ospite, che cosa hai da dire?
Di' la tua patria, la gente tua
e le tue vicende. Dalle accuse scólpati,
se fede hai pur nella giustizia, e siedi
perciò, come Issione, supplice sacro
vicino all'ara e al simulacro mio.
Rispondi a tutto, e fa ch'io chiaro intenda.
ORESTE:
Atèna regina, prima io voglio rimuovere
il grave dubbio che era nelle ultime
parole tue.
Non giunsi qui contaminato. All'idolo
tuo non m'assisi con le mani impure.
Ti darò prova sicura di ciò.
Muto convien che l'omicida resti,
sin che del sangue d'un lattante verro
altri, a espïar, non lo cosperga. Ed io,
da lungo tempo già, presso altre case,
presso altre genti, fui purificato.
Il tuo primo sospetto ecco rimosso.
Ed ora, sappi la progenie mia.
Io sono d'Argo: è mio padre Agamènnone,
signor degli Achei, a te ben noto:
che tu con lui, ov'era la città
d'Ilio, facesti la rovina. Ora, egli,
tornato alla sua casa, trovò morte:
ignobil morte: ché la torva madre
mia, lo sgozzò, lo strinse entro una rete
insidiosa. Ed io tornai
ed uccisi mia madre, io non lo nego,
e con la morte vendicai la morte
del carissimo padre. E mio complice,
di questo scempio, fu Apollo: egli mi disse
quali tormenti il cuor mio punto avrebbero
se cosí non punivo i due colpevoli.
Era giusto? Non era giusto? Tu giudica:
loderò, qual che sia, la tua sentenza.
Atèna:
Se alcuno v'è che troppo grave sia
per uomini mortali giudicare questa contesa,
neanche a me conviene dare giudizio
di una uccisione che suscita cosi'
acute collere vendicatrici.
Poiché tu supplice giungi alla mia casa,
purificato, innocuo, debbo accoglierti.
Ma queste Dee hanno un loro privilegio
che non e' facile rifiutare;
e ov'esse non trionfino,
temo che su questo paese
cadranno i dardi avvelenati di un triste flagello.
A questo punto or siam: né trattenerle
né rimandarle senza lite io posso.
E poi che a ciò giunser gli eventi, io
eleggerò giudici giurati e fonderò un
istituto di giustizia che resterà saldo per sempre.
Voi le prove procacciate ed io
tra i cittadini il fiore eletto
troverò: scioglieranno essi la lite,
senza far torto alla giustizia.