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AMIAMO LA GUERRA
Giovanni Papini

Finalmente è arrivato il giorno dell'ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la decima dell'anime per la ripulitura della terra. di chi è?
Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. 
Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l'arsura dell'agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre; e una muraglia di svampate per i freschi di settembre.
È finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell'ipocrisia e della pacioseria. I fratelli son sempre buoni ad ammazzare i fratelli! i civili son pronti a tornar selvaggi; gli uomini non rinnegano le madri belve.
Non si contentano più dell'omicidio al minuto.                     
Siamo troppi. La guerra è un'operazione malthusiana. C'è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono.
La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un'infinità di uomini che vivevano perché erano nati, che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutar la vita.
Fra le tante migliala di carogne abbracciate nella morte e non più diverse che nel colore dei panni, quanti saranno, non dico da piangere, ma da rammentare?  
Ci metterei la testa che non arrivano ai diti delle mani e dei piedi messi insieme.
E codesta perdita, se non fosse anche un guadagno per la memoria, sarebbe a mille doppi compensata dalle tante centinaia di migliala di antipatici, farabutti, idioti, odiosi, sfruttatori, disutili, bestioni e disgraziati che si son levati dal mondo in maniera spiccia, nobile, eroica e forse, per chi resta, vantaggiosa.                
Non si rinfaccino, a uso di perorazione, le lacrime delle mamme. 
A cosa possono servire le madri, dopo una certa età, se non a piangere. 
E quando furono a  ingravidate non piansero: bisogna pagare anche il piacere. 
E chissà che qualcuna di quelle madri lacrimose non abbia maltrattato e maledetto il figliolo prima che
i manifesti lo chiamassero al campo. 
Lasciamole piangere: dopo aver pianto si sta meglio.

Chi odia l'umanità — e come si può non odiarla anche compiangendola? — si trova in questi tempi nel suo centro di felicità.  
La guerra, colla  sua ferocia, nello stesso tempo giustifica l'odio e lo consola. 
«Avevo ragione di non stimare gli uomini, e perciò son contento che ne spariscano parecchi ».

La guerra, infine, giova all'agricoltura e alla modernità. I campi di battaglia rendono, per molti anni, assai più di prima senz'altra spesa di concio. Che bei cavoli mangeranno i francesi dove s'ammucchiarono i fanti tedeschi e che grasse patate si caveranno in Galizia quest'altro anno!
E il fuoco degli scorridori e il dirutamente dei mortai fanno piazza pulita fra le vecchie case e le vecchie cose. 
Quei villaggi sudici che i soldatacci incendiarono saranno rifatti più belli e più igienici. E rimarranno anche troppe cattedrali gotiche e troppe chiese e troppe biblioteche e troppi castelli per gli abbrutimenti e i rapimenti e i rompimenti dei viaggiatori e dei professori.
Dopo il passo dei barbari nasce un'arte nuova fra le rovine e ogni guerra di sterminio mette capo a una moda diversa. Ci sarà sempre da fare per tutti se la voglia di creare verrà, come sempre, eccitata e ringagliardita dalla distruzione.  
Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La guerra è spaventosa — e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi.

                           (Giovanni Papini, La cultura italiana attraverso le riviste, IV, Torino, Einaudi)