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AMIAMO
LA GUERRA
Finalmente
è arrivato il giorno dell'ira dopo i lunghi crepuscoli della paura.
Finalmente stanno pagando la decima dell'anime per la ripulitura della
terra.
Ci voleva,
alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi
di latte materno e di lacrime fraterne.
Ci voleva
una bella innaffiatura di sangue per l'arsura dell'agosto; e una rossa
svinatura per le vendemmie di settembre; e una muraglia di svampate per
i freschi di settembre.
È finita
la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell'ipocrisia e della
pacioseria. I fratelli son sempre buoni ad ammazzare i fratelli! i civili
son pronti a tornar selvaggi; gli uomini non rinnegano le madri belve.
Non si contentano
più dell'omicidio al minuto.
Siamo troppi.
La guerra è un'operazione malthusiana. C'è un di troppo di
qua e un di troppo di là che si premono.
La guerra
rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio.
Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un'infinità
di uomini che vivevano perché erano nati, che mangiavano per vivere,
che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio
di rifiutar la vita.
Fra le tante
migliala di carogne abbracciate nella morte e non più diverse che
nel colore dei panni, quanti saranno, non dico da piangere, ma da rammentare?
Ci metterei
la testa che non arrivano ai diti delle mani e dei piedi messi insieme.
E codesta
perdita, se non fosse anche un guadagno per la memoria, sarebbe a mille
doppi compensata dalle tante centinaia di migliala di antipatici, farabutti,
idioti, odiosi, sfruttatori, disutili, bestioni e disgraziati che si son
levati dal mondo in maniera spiccia, nobile, eroica e forse, per chi resta,
vantaggiosa.
Non si rinfaccino,
a uso di perorazione, le lacrime delle mamme.
A cosa possono
servire le madri, dopo una certa età, se non a piangere.
E quando furono
a ingravidate non piansero: bisogna pagare anche il piacere.
E chissà
che qualcuna di quelle madri lacrimose non abbia maltrattato e maledetto
il figliolo prima che
i manifesti
lo chiamassero al campo.
Lasciamole
piangere: dopo aver pianto si sta meglio.
Chi odia l'umanità
— e come si può non odiarla anche compiangendola? — si trova in
questi tempi nel suo centro di felicità.
La guerra,
colla sua ferocia, nello stesso tempo giustifica l'odio e lo consola.
«Avevo
ragione di non stimare gli uomini, e perciò son contento che ne
spariscano parecchi ».
La guerra,
infine, giova all'agricoltura e alla modernità. I campi di battaglia
rendono, per molti anni, assai più di prima senz'altra spesa di
concio. Che bei cavoli mangeranno i francesi dove s'ammucchiarono i fanti
tedeschi e che grasse patate si caveranno in Galizia quest'altro anno!
E il fuoco
degli scorridori e il dirutamente dei mortai fanno piazza pulita fra le
vecchie case e le vecchie cose.
Quei villaggi
sudici che i soldatacci incendiarono saranno rifatti più belli e
più igienici. E rimarranno anche troppe cattedrali gotiche e troppe
chiese e troppe biblioteche e troppi castelli per gli abbrutimenti e i
rapimenti e i rompimenti dei viaggiatori e dei professori.
Dopo il passo
dei barbari nasce un'arte nuova fra le rovine e ogni guerra di sterminio
mette capo a una moda diversa. Ci sarà sempre da fare per tutti
se la voglia di creare verrà, come sempre, eccitata e ringagliardita
dalla distruzione.
Amiamo la
guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La guerra è
spaventosa — e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile
e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi.
(Giovanni Papini,
La cultura italiana attraverso le riviste,
IV, Torino, Einaudi)
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