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HACKERS CONTRO AL JAZEERA

AL-JAZEERA è la televisione satellitare del Qatar fondata nel ’96 dall’emiro Hamad bin Khalifa al-Thani. Trasmette 24 ore al giorno, ha 350 dipendenti e 35 uffici di corrispondenza nel mondo. Per ora trasmette solo in arabo. In Medio Oriente e Nord Africa è il primo broadcaster satellitare (spettatori: 10 milioni di famiglie). Diffonde in Europa dal ’99. Ha un look moderno, ispirato alla Cnn. Le presentatrici hanno stile preciso e posato.

Inizialmente data per «favorita» nella copertura della guerra all’Iraq, ha dovuto subire colpi terribili. Attacchi on line al suo neonato sito in inglese, divieto di effettuare collegamenti dal trading floor della Borsa di New York, sanzioni del governo iracheno a due dei suoi corrispondenti a Baghdad, e il fatto più grave, il bombardamento «per errore» agli uffici nella capitale irachena, seguito dalla morte di un suo reporter, Tareq Ayyoub.

Nonostante tutto, il sito in inglese di Al Jazeera ha ripreso a funzionare, dando la possibilità a milioni di persone di conoscere un'altra faccia dell'informazione in questa guerra. Il sito web in lingua inglese aveva debuttato su Internet il 25 marzo, per restare vittima - dopo solo 12 ore - di un attacco on line ad opera di un gruppo che si è firmato «Freedom Cyber Force Militia», post scriptum «God bless our troops!!!». Chi digitava l'indirizzo www.english.aljazeera.net veniva dirottato su un sito dove campeggiava la bandiera stelle e strisce e la scritta «Let Freedom Ring!». Al Jazeera si era così vista costretta a ritirare il sito dalla rete, in attesa di trovare uno strumento efficace per proteggersi dal pirataggio on line. E si era affidata ai servizi della società Akamai Technologies, sede nel Massachussets, che fra i suoi clienti conta anche la Cnn e la Msnbc, e che è nota per la sua esperienza nella protezione dagli attacchi on line.

Ma la collaborazione è durata meno di una settimana: Akamai fa sapere che non continuerà il suo rapporto professionale con Al Jazeera e interromperà l'accordo. «La decisione è soltanto frutto di pressioni politiche su questa compagnia per non avere niente a che fare con noi», ha dichiarato Al Jazeera. Considerate le penali da pagare per aver rotto un contratto a lunga scadenza, è difficile sostenere che la politica non abbia a che fare con la decisione di Akamai.
La società americana è responsabile, fra le altre cose, del sito che recluta i soldati per l'esercito Usa. Il suo direttore generale, George Conrades, lavora per la National Infrastructure Advisory Committee, un organo composto da accademici e professionisti dell'industria che si occupa di consulenza in materia di sicurezza informatica per il presidente Bush. D'altronde non sarebbe la prima porta sbattuta in faccia ad Al Jazeera: sempre riguardo al sito in inglese, la rete si è vista rifiutare da America On Line di ospitare i banner che pubblicizzano il servizio. Ufficialmente, perché Aol non accetta pubblicità di reti televisive in concorrenza con quelle di proprietà Aol Time Warner, Abc e Cnn fra le altre. Secondo un articolo presente nel sito in inglese di Al Jazeera anche Yahoo! e la Reuters avrebbero rifiutato di ospitare la sua campagna pubblicitaria.

E nonostante tutto ciò, alla fine il sito si vede. Una volta sparito dalla rete, altri siti web, fra i quali l'organizzazione Cursor (www.cursor.org/aljazeera.htm), hanno creato un «mirror» con Al Jazeera, permettendo di consultarne comunque il materiale, diviso in significative sezioni come «Humanitarian» o «Global Reaction», con articoli che analizzano le ragioni di chi è contro questa guerra. E il sito è infine ricomparso al suo indirizzo ufficiale, www.english.aljazeera.net , in una versione riaggiornata che tratta, fra le altre cose, il bombardamento americano alla sede della tv a Baghdad, definendolo un attacco «deliberato» per mettere a tacere chi testimonia i «crimini che (gli americani) stanno commettendo contro il popolo iracheno».

Il sito inglese di Al Jazeera - sottotitolo «copertura ed analisi oggettiva ed equilibrata dell'informazione globale» - presenta, coerentemente con la strategia editoriale del canale televisivo, l'opinione e l'opinione contraria. Sulla home page si legge un articolo che racconta dei festeggiamenti della popolazione irachena a Baghdad, ieri, per l'apparente caduta del regime, ma anche pezzi come «Giornalisti presi di mira dal fuoco Usa» e «Nessuna prova sulle armi di distruzione di massa». La sezione «Global Reaction» riporta le proteste contro la guerra e le manifestazioni che si stanno svolgendo in tutto il mondo, mentre fra le «Features» si trova un articolo su come i missionari americani si stiano preparando ad entrare in Iraq «con la Bibbia in mano». Nelle sezioni «Profiles» e «Historical» compaiono ricostruzioni sulla storia dell'Iraq, del partito Baa'th e di Saddam Hussein, mentre fra le analisi c'è un pezzo che commenta le conseguenze della guerra sul debole reame saudita e la crescita dei movimenti per la jihad nel paese. Il motore di ricerca Lycos ha fatto sapere che, nelle settimane di guerra, Al Jazeera è stata la parola più ricercata sul web da ogni parte del mondo.
In italiano si può visitare il sito aljazira.

SCHEDA: AL JAZEERA

Al Jazeera si presenta come un esempio di giornalismo democratico senza precedenti nei paesi arabi e per questo ha qualcosa di "rivoluzionario". Molti regimi l'hanno boicottata e hanno fatto forti pressioni sull'emiro del Qatar per allontanare giornalisti che intervistavano oppositori. Tra i più arrabbiati Arabia Saudita e Kuwait, dove un gruppo di avvocati si è specializzato in cause contro Al Jazeera.

"Possiamo capire che la nostra capacità di entrare nelle case di 35 milioni di arabi raccontando le due facce delle notizie, mai una sola opinione, come dice il nostro motto, abbia dato fastidio ai regimi arabi: ma che questo ci venga rinfacciato da chi pretende di portare la democrazia sui cannoni dei carri armati è troppo", commentava ieri l'emittente, sulle immagini del funerale di Ayoub.

Durante il conflitto l'emittente del Qatar ha riportato notizie e opinioni delle due parti belligeranti. Certo, nel linguaggio si percepisce la solidarietà con il popolo iracheno sottoposto ai bombardamenti, ma senza proclami ideologici, né nazionalisti né fondamentalisti islamici. "Quel che ha dato più fastidio agli americani - sostiene l'analista - sono quelle immagini a forte impatto umano che hanno documentato la sofferenza della popolazione civile entrando nelle case arabe".