La fotografìa, il cinema, ma soprattutto
la televisione, in questi ultimi 50 anni, hanno modificato radicalmente
la percezione sociale della realtà della guerra, immettendola
direttamente nella vita quotidiana degli individui, accendendo
riflessioni ed emozioni.
I PRIMI
CORRISPONDENTI DI GUERRA
Le prime guerre raccontate con abbondanza di particolari da corrispondenti
guerra e da fotografi professionisti furono la guerra di Crimea
(1853-57), la grande rivolta indiana (1857-58), la seconda guerra
dell'oppio (1859-60) e la guerra di secessione americana. Il primo
corrispondente di guerra fu il giornalista del Times di Londra,
William Russell, in Crimea. Questi giornalisti nei quartieri generali
ricevettero l’appellativo poco simpatico di «spugne
da alcool». Charles Page, uno dei primi reporter di guerra
americani, identificò l'origine della loro impopolarità:
i corrispondenti finiscono per narrare cose che feriscono qualcuno.
L'INFLUENZA
SULL'OPINIONE PUBBLICA
Sin dall'inizio giornalisti e fotografi influenzarono l'opinione
pubblica. Russell denunciò le scandalose condizioni dei
soldati inglesi in Crimea, e costrinse i vertici britannici ad
organizzare a Scutari un servizio di assistenza sanitaria ed un
ospedale, contribuendo alla caduta del governo. L'immagine che
i civili avevano della guerra fu modificata dalle impressionanti
foto di Roger Fenton, sempre al seguito dell'esercito britannico
in Crimea nel 1855. L'epoca dei primi corrispondenti e fotografi
di guerra fu caratterizzata dalle innovazioni nell'impiego delle
armi, nella modernizzazione di tattiche e strategie.
Con l'evoluzione tecnica e la mobilitazioni di eserciti composti
da milioni di uomini, nella prima guerra mondiale si svilupperà
la «guerra di trincea», ovvero “l’immane
macello”. Grandi poeti, come Owen, Sassoon, Graves, hanno
inciso nella memoria moderna i massacri delle battaglie della
Somme e d'Ypres. Da parte tedesca Erich Maria Remarque ha evocato
la stessa esperienza nel romanzo A Ovest niente di nuovo.
CENSURA
E NUOVI STRUMENTI
L'accesso dei reporter al fronte non fu limitato solo dalle circostanze
ma dalla censura. Perché fotografi e pittori seppero produrre
immagini impressionanti, come, ad esempio, la foto di vittime
accecate dai gas, che ispirò il capolavoro di John Singer
Sargent,«Gazés». La guerra di «logoramento»
cessò con l'arrivo di nuove armi e tattiche: aerei e carri
armati che, dal 1918, apriranno la via alle manovre rapide su
quasi tutti fronti. Gli anni '20 e '30 pur segnando una interruzione
nei conflitti mondiali «totali», segnò una
fase di progresso per il giornalismo di reportage: i fotografi
russi e tedeschi iniziarono ad usare macchine fotografiche da
35 mm, compatte e leggere. Anche le macchine da presa furono sempre
più frequenti. Furono prodotti veri capolavori di reportage,
da Omaggio alla Catalogna di Orwell a Scoop di Evelyn Waugh, satira
del mestiere di corrispondente di guerra.
CAMBIA
L'IMMAGINE DELLA GUERRA
L'espansione dei media dell'informazione - fotografia, cinema,
ma soprattutto televisione - saprà veicolare su scala mondiale
un'immagine della guerra radicalmente diversa, più accurata
ed esplicita di quella ancora circolante al tempo del primo conflitto
mondiale.
Con la Guerra Civile di Spagna (1936-39) si passa, da un reportage
giornalistico ancora incline al romanzesco, a un ben diverso senso
della realtà in cui, grazie anche alle «pure immagini»,
prevale l'interesse per il lato umano della guerra.
L'intreccio tra sviluppo dei mezzi d’informazione e controllo
dall'alto avvenne nel corso della II Guerra Mondiale. Dopo l'attacco
a Pearl Harbour, le Forze Armate USA istituirono un pool «misto»
di 65 fotografi militari e di riviste o associazioni accreditati
presso l'esercito; tra questi un'unica donna, Margaret Bourke-White.
IL
VIETNAM E LA FINE DELLE GUERRE MITIZZATE
I cittadini statunitensi, grazie ai «professionisti»,
erano convinti di ricevere notizie esaurienti sullo svolgimento
del conflitto. Il numero dei corrispondenti americani caduti in
guerra fu proporzionalmente quattro volte superiore alle perdite
militari americane giungendo ad un totale di 37 morti e 112 dispersi.
Ma è dopo 20 anni, nel Vietnam, che l'evoluzione del reportage,
soprattutto fotografico, raggiunge un ulteriore stadio di maturità
con la rappresentazione della nudità della guerra, senza
didascalie. La grande scoperta del Vietnam è la fisicità
della guerra e la sua tragica corporalità, grazie ai flussi
di diretta televisiva. L'immagine della guerra vietnamita dei
McCullin, Burrows, Adams, «ha messo fine alla moda della
guerra. Non c'è più niente da mitizzare».
CENSURE: LA LEZIONE DEL VIETNAM
di Paolo Garimberti (la Repubblica)
I giornalisti della Rai hanno seguito corsi di addestramento
per affrontare la guerra in Iraq. Con l’auspicio che non si ripeta
la frustrante esperienza del precedente conflitto nel Golfo. Quando
ai reporter fu impedito l’accesso diretto alle operazioni, in
parte perché la guerra si svolse più in cielo che in terra, ma
soprattutto perché i comandi americani non volevano rompiscatole
curiosi tra i piedi. Memori della lezione del Vietnam, quando
i curiosi rompiscatole finirono per cambiare l’umore della gente
negli Stati Uniti e perfino la linea editoriale dei loro stessi
giornali. Fu, quella, la prima volta che la “guerra in diretta”,
e specialmente le telecamere in prima linea, ebbe un effetto così
dirompente sull’opinione pubblica.
Quattordici anni dopo, durante la campagna delle Falklands, i
comandi inglesi fecero tesoro della disastrosa esperienza americana.
Come ricorda Trevor Royle nel suo libro “War Report”, ci furono
due guerre, una sul terreno e l’altra nelle sale stampa, tanto
che alla fine del conflitto il governo inglese pubblicò il cosiddetto
“Beach Report” per stabilire regole “più soddisfacenti” nel rapporto
tra comandi militari e giornalisti “in caso di future guerre”.
Che, come la storia insegna, non sono mancate, purtroppo, dal
Golfo ai Balcani, con conseguenze diametralmente opposte per la
libertà d’informazione: rigidità totale nel primo caso, assoluta
deregulation nel secondo. Ma proprio la mobilitazione delle coscienze
creata dai reportage da Sarajevo ha confermato che la testimonianza
dei giornalisti è essenziale per bilanciare le “verità” dei militari.
Lo aveva già dimostrato, un bel po’ di secoli fa, il primo grande
reporter di guerra, l’ateniese Tucidide.
CENSURE: LA LEZIONE DEL PAPA
03/06/2003 comunicazione globale
Ha detto il Papa, nel giorno dedicato alla comunicazione sociale,
che i giornalisti devono "cercare e riferire la verità",
rendendosi liberi dal "controllo governativo". Essi
- ha aggiunto - hanno il "grave dovere" di "resistere
alle pressioni" che li sollecitano a "soddisfare le
pretese dei ricchi e del potere politico". Devono anche "evitare
di essere agenti di propaganda e di disinformazione". Se
comportarsi come dice il Papa fosse cosa normale, il Papa non
avrebbe detto queste parole.
Redazione Megachip
www.megachip.info