Giornalisti
embedded
Giornalisti
"embedded", "incastonati" - ma in termine inglese
suona come in bed, a letto - con le truppe britannico-americane.
Alcuni "embedded" li ha anche Al Jazeera. In tutto, gli
"embedded" sono circa 500, seguono le truppe e sono soggetti
a regolamenti rigidi.
I pochi che hanno tentato di sganciarsi dal loro reggimento hanno
rischiato grosso. Uno di loro, il veterano britannico Terry Lloyd,
è stato ucciso da raffiche britanniche che avevano scambiato
la sua automobile (marcata TV col nastro nero) per un mezzo iracheno.
Parla Monica Maggioni (Tg1), unica embedded italiana.
L'unità
militare cui è aggregata ha mai partecipato a combattimenti
o a manovre di supporto? Quanti in tutto? Lei li ha potuti osservare?
Quali elementi, a causa del suo status di embedded, ha dovuto omettere
nel racconto dei fatti rispetto a come avrebbe voluto renderlo?
"Mi sembra un po' presto per poter rispondere
a tutte queste domande visto che sono ancora embedded. Ma sostanzialmente
la mia unità partecipa regolarmente a manovre di supporto
e gli elementi che nei miei pezzi devo omettere riguardano sostanzialmente
i numeri: quante unità sono coinvolte, quanti uomini, a quale
distanza siamo da una località, almeno fino a che le operazioni
sono in corso".
Come
funziona il suo rapporto con le fonti (ufficiali addetti alla stampa,
altri ufficiali, truppa) nella giornata tipo? Secondo quali regole?
"Non devo riferire assolutamente
nulla a nessuno. Non vedo gli addetti stampa da settimane. Il lavoro
sottoposto a controllo più stretto è quello dei giornalisti
Usa che vengono portati sulla primissima linea di combattimento".
Da
regolamento, i militari dovrebbero proteggere le informazioni sensibili
alla fonte, spiegando prima ciò che si può e non si
può raccontare oppure, se inavvertitamente i giornalisti
sono stati esposti a informazioni sensibili, spiegando dopo cosa
non mettere. Fate molti briefing e debriefing con loro?
"Non un briefing né un debriefing.
Semplicemente non mi fanno vedere quello che non vogliono che io
veda".
Tutti
gli embedded dicono le stesse cose? Vi controllano? "Ripeto:
mai controllata una volta. Certo so che un paio di giornalisti che
hanno rivelato con precisione millimetrica la località in
cui si trovavano sono stati espulsi dall'embedding".
Le hanno mai offerto l'accesso a un'operazione
in cambio dell'impegno a sottoporre la sua corrispondenza a una
"security review" come da regolamento?
"L'offerta non c'è stata.
Per me fino ad oggi il problema è stato relativo. La vera
questione non è il controllo ma l'accesso, la possibilità
di vedere le cose. Per paradosso il momento in cui abbiamo visto
più cose è stato nel convoglio, nella risalita da
sud a nord quando le cose accadevano proprio attorno a noi. Ma a
parte la questione dei dettagli logistici, nessuno, nessuno è
mai venuto a controllare i miei pezzi. Io mi sto limitando a rispettare
delle regole essenziali che rispetterei comunque sulla base del
buon senso. Non è che quando seguivo le operazioni e gli
addestramenti delle brigate Al Aqsa in Palestina rivelavo i nomi,
l'ora e le vie dove si svolgevano. Sembrerà un paradosso,
ma qui sto ragionando nello stesso modo".
http://www.uniurb.it/giornalismo/giornalinew/aprile2003/regole.htm
GIORNALISTA? ARRUOLATO di Vittorio Zucconi (la Repubblica)
Al fronte il primo caduto certo della guerra è stato la verità. Embedded, dicono i militari americani che la portano con loro, “incastrata” nei reparti, integrati, assimilati.
Hanno ricevuto, secondo una circolare dell’ufficio stampa del Pentagono emessa già da mesi, quando ancora ci raccontavano che la guerra non sarebbe stata “inevitabile”, addestramento ed equipaggiamento paramilitare, tre miglia di corsa al giorno, maschere e tute antigas, razioni da campo, (…) ma niente armi. Sono stati selezionati, maschi e femmine, tra quelli più in forma e più giovani. Sono spesso giovani reporter di stazioni televisive, senza altra esperienza del mondo che il delitto locale o le risse in consiglio comunale, (…) ma ignari della sofisticazione ormai raggiunta dai propagandisti, che hanno imparato la lezione del Vietnam e sanno come si pilota l’informazione nel nuovo mondo dei mass media. Questa, di embed, di incastrare gli inviati nei reparti e metterli di fatto agli ordini degli ufficiali, è l’ultima soluzione escogitata dal governo insieme con editori e direttori convocati alla Casa Bianca, per risolvere il dilemma tra informazione e propaganda, tra il dovere di cronaca e il diritto alla riservatezza. Come finirà questa volta il perenne duello tra il comunicato ufficiale e la verità che mai coincidono, vedremo e leggeremo tra poche settimane. I precedenti dell’informazione con l’elmetto, studiati e raccontati in un deprimente studio pubblicato dalla Johns Hopkins University sulla first casualty, il primo caduto che è sempre la verità, non sono rassicuranti. La storia del giornalismo al fronte è una storia di vittorie per la propaganda. Non ci sono per esempio tracce, nei grandi giornali anglosassoni, Times compreso, delle immonde stragi di uomini sui fronti della Grande Guerra, solo comunicati evasivi e trionfali. Fu necessario arrivare all’offensiva del Tet, nel 1968, perché i media americani ammettessero che la guerra in Indocina era un disastro. E rari sono i reporter che sanno resistere a quella che lo studio della Johns Hopkins chiama brutalmente la immancabile storia delle “suore violentate e dei bambini smembrati”, il romanzo delle atrocità commesse sempre e soltanto dagli altri che alla fine delle guerre risultano tanto spesso inventate, come inventate furono le favolose percentuali di successo dei missili Patriot, che le inchieste governative rivelarono aver quasi sempre (al 90% almeno) mancato l’obiettivo. Ma davanti ai giovani giornalisti in viaggio per la guerra, brilla il sogno di essere i futuri Bernard Shaw e Peter Arnett, che racconteranno in diretta la prima bomba su Bagdad, il futuro Hemingway, che dal suo hotel di Parigi attese l’ingresso degli Alleati. Anche a costo di vendere la verità in cambio di un titolo di prima pagina o di un minuto nel Tg, perché questa, del doppio ricatto del patriottismo e del successo è, più della censura, l’arma che sconfigge l’informazione.
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