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... il fatto che conta sia nella fotografia sia nella storia è naturalmente il «giusto» bilanciamento fra la tendenza realistica e quella creativa. Le condizioni alle quali si ottiene l'equilibrio possono essere sintetizzate da una formula semplice, quasi matematica: Tendenza Realistica >= Tendenza Creativa. Questa formula copre diversi casi. Questi casi possono essere disposti lungo un asse continuo, uno dei cui poli può essere attribuito ad enunciati costruiti con lo scopo di portare alla luce qualche parte della realtà data nel modo più fedele possibile. Penso ai molteplici studi storici imperniati sui fatti, studi che, spesso nella forma di monografie, si concentrano sull'esposizione di un insieme di eventi, sviluppi o situazioni e mantengono ad un livello bassissimo l'interferenza delle preferenze soggettive e degli intenti stilistici. I loro equivalenti nella dimensione del lavoro fotografico sono oneste registrazioni visive, come fotografie ingenue, impersonali riprese di cinegiornali, e cose simili. I lavori di questo genere prendono quasi l'aspetto di riproduzioni. Ma, almeno, essi rispondono ai requisiti minimi richiesti dai rispettivi mezzi espressivi. il polo opposto dell'asse continuo è occupato da interpretazioni in cui la spontaneità e la ricettività sembrano farsi equilibrio, dove l'interpretazione corrisponde in modo così perfetto ai dati pertinenti da non schiacciarli e da non lasciare nemmeno un residuo non assimilato. La foto di Alfred Stieglitz di un gruppo di alberi piegati dal vento è una fotografia di alberi realmente esistenti e al medesimo tempo un'immagine memorabile - o un'allegoria? - della tristezza autunnale.

... Non tutti i mezzi di espressione artistica hanno un carattere peculiare: i vari stili nella pittura, per esempio, dipendono pochissimo dai materiali utilizzati o da determinati fattori tecnici. Ma la fotografia assomiglia alle diverse branche del sapere in quanto ha proprietà specifiche che tendono a condizionare il lavoro all'interno dei suoi confIni. Nel periodo arcaico del mezzo espressivo, critici acuti si fecero interpreti dei tempi meravigliandosi della eccezionale capacità della macchina fotografica di registrare come pure di rivelare la realtà fisica visibile o potenzialmente visibile. Gay-Lussac, da parte sua, trovava diletto nella «esattezza matematica» di ogni dettaglio sulle lastre fotografiche e insisteva che nessun dettaglio, «per quanto impercettibile» può sfuggire «all'occhio e al pennello di questo nuovo pittore» (il termine «pittore», come è usato qui. richiama alla memoria il tempo in cui le automobili apparivano ancora come carrozze senza cavalli). Per la stessa ragione, un giornalista di Parigi, sul finire del secolo, elogiava i film dei Lumière per il fatto che presentavano, o addirittura erano, «la natura stessa colta sull'atto». In breve, all'inizio si riconosceva che la fotografia è attrezzata in modo unico per seguire la tendenza realistica in una misura irraggiungibile per le arti tradizionali ad essa affini.

Questo condusse gli ingenui realisti del XIX secolo a identificare la fotografia con una tecnica di riproduzione. Concordavano tutti sul fatto che essa registra la natura con una fedeltà «uguale alla natura stessa» ed esaltavano le riproduzioni che, per parafrasare il detto di Ranke, sembravano mostrare le cose come sono veramente (wie es eigentlich ist). La fotografia è usata appropriatamente, così sostenevano quei realisti dalla mentalità scientifica, solo se è riduci bile a una rappresentazione impersonale di fenomeni esterni. Nel suo romanzo Proust adottò questo punto di vista. forse perché effettivamente lo metteva in condizione di contrapporre le sue memorie involontarie, completamente soggettive, agli oggettivi ricordi esterni depositati in testimonianze fotografiche. Così egli mette in risalto il distacco emotivo come la principale virtù del fotografo. Secondo lui, il fotografo ideale è uno specchio che non fa discriminazioni, l'equivalente dell'obiettivo fotografico.

Se l'equilibrio è sottoposto a tensione, è certamente destinato a diventare molto precario: a prima vista, certe fotografie - per esempio, quella di Moholy-Nagy intitolata Dalla torre della radio di Berlino - sembrano composizioni non oggettive, mentre, dopo un esame più attento, si scopre che sono rappresentazioni di oggetti naturali riprese da un angolo visuale non convenzionale. Basta un leggero spostamento nella stessa direzione e si ha il capovolgimento del «giusto» equilibrio fra riproduzione e costruzione; si entra nella Zona in cui gli impulsi creativi dello storico hanno la meglio sulle sue intenzioni realistiche...

C'è, dunque, un'analogia fondamentale fra la storiografia e i media fotografici: come il fotografo, lo storico è restio a trascurare ciò che lo vincola ad una descrizione oggettiva a vantaggio dei propri preconcetti ed evita di distruggere la materia prima a cui cerca di dare una forma. Ma non è tutto qui. Un'altra analogia basilare riguarda il contenuto peculiare dei due campi di ricerca. Supponendo che la macchina fotografica e la cinepresa riconoscano il «principio estetico basilare», esse normalmente mettono a fuoco un mondo che non è certamente l'astratta natura della scienza. Non è neanche un mondo che lasci intravedere un cosmo ben ordinato, perché «sullo schermo non è rappresentato un cosmo, ma una terra, degli alberi, il cielo, delle strade e ferrovie...». Piuttosto, «la realtà del mezzo fotografico» - quel tipo di realtà sulla quale il fotografo o il cineoperatore apre le sue lenti - ha tutti i contrassegni della Lebenswelt. Comprende oggetti inanimati, visi, folle, gente che si mescola, soffre e spera; il suo tema grandioso è la vita nella sua pienezza, la vita come la si vive comunemente.

Non ci si deve stupire che la realtà del mezzo fotografico sia analoga alla realtà storica in ciò che concerne la sua struttura, la sua costituzione generale. Esattamente come la realtà storica, essa è in parte strutturata e in parte amorfa, e questo fatto è conseguenza, in un caso come nell'altro, dello stato di evoluzione non omogenea del nostro mondo di ogni giorno; e mostra lineamenti che sono dello stesso genere delle caratteristiche dell'universo dello storico. Tanto per cominciare, i fotografi tendono a mettere in rilievo il carattere contingente del loro oggetto. Gli eventi occasionali sono la sostanza stessa delle istantanee; le autentiche fotografie danno l'impressione che i loro soggetti siano stati colti en route. Per la stessa ragione, i cineoperatori hanno un debole per la rappresentazione delle impressioni fugaci e degli incontri imprevedibili. La possibilità che anche gli storici usino a proprio vantaggio questa sensibilità per l'accidentale piuttosto che per il provvidenziale fu riconosciuta già al tempo degli esordi della fotografia. Siccome le rappresentazioni casuali sono frammenti, un ulteriore carattere della fotografia è quello di suggerire il non finito; una vera fotografia non ha niente a che fare con ]a nozione di completezza. La sua cornice segua un Limite provvisorio; il suo contenuto rimanda al di là di quella cornice, si riferisce a una molteplicità di fenomeni della vita reale che è impossibile includere nella loro interezza.

LA FONTE
Siegfried Kracauer da Prima delle cose ultime Marietti, Casale, 1985.
DIZIONARIO.
RIEPILOGO
  • 1827: prima fotografia, di Niepce, ottenuta utilizzando nella camera obscura una lastra di peltro a sali d’argento.